Per David Hafler la passione scacchistica di tutta la sua vita – acquistò il suo primo set all’età di 10 anni – fu il collezionismo di serie di scacchi. Raccolse una infinità di antichi set prodotti in ogni parte del mondo; e quando integrò nel 1968 la sua collezione acquistando quella del francese Maunoury, divenne il più autorevole punto di riferimento per chi avesse intenzione di studiare questa particolare e giovanissima materia.
Conscio della mancanza di specifici studi relativi ai pezzi di scacchi (il primo libro interamente dedicato a loro fu pubblicato solo nel 1937), si mise a girare il mondo per diffondere la sua “idea fissa”: mettere in contatto i collezionisti, allora conosciuti, con gli studiosi per fornire agli uni i mezzi per la ricerca, agli altri materiale di grande valore e di difficile “consultazione”.
Una impresa non semplice: occorreva superare ostacoli di riservatezza e di riluttanza molto radicati ma Hafler sapeva come muoversi utilizzando sistemi che gli erano congeniali. L’educazione soprattutto, la gentilezza, il garbo, il rispetto per gli altri, in definitiva lo stile di altri tempi, comunque sempre vincente. Le versioni ufficiali narrano di una associazione mondiale avente le caratteristiche da lui immaginate – la Chess Collectors International – nata negli Stati Uniti nel 1984, ma David Hafler aveva iniziato a diffondere la sua “felice intuizione” più di dieci anni prima!
Uomo riservato, estraneo a qualsiasi forma di inutile esibizionismo, fu soprattutto umile, la caratteristica che spesso si associa alla grandezza. Venne anche in Italia e si recò a far visita al nostro Adriano Chicco e i due finirono inevitabilmente per stimarsi reciprocamente per tutta la vita. Chicco gli dedicò addirittura una “voce” nel suo celebre Dizionario Enciclopedico degli Scacchi, ricordandolo ripetutamente, tra l’altro, nelle varie edizioni del Libro completo degli Scacchi.
Venne anche da me – e più volte – e mi mise in imbarazzo: lui così autorevole si recava a trovare un giovane ed inesperto ricercatore! Nacque fra di noi una amicizia e un rispetto reciproco e quando mi invitò a Londra (Secondo Congresso CCI, 1986) per parlare di pezzi di scacchi seguendo il metodo da lui “immaginato”, mi sia concesso di dire che non lo delusi, perché notai nei suoi occhi chiari la gioia di avermi visto fare quello che lui aveva tanto desiderato.
Ora questo legame si è interrotto e su David Hafler è sceso il silenzio ma in questo silenzio gli echi della sua grandezza umana e dei suoi insegnamenti scacchistici si propagheranno ancora a lungo.

L’improvvisa scomparsa di Alvise Zichichi lascia un vuoto incolmabile nel mondo scacchistico italiano e internazionale e una infinita tristezza in me che gli fui amico fraterno.
Per me nulla sarà come prima senza la sua presenza.
Zichichi, molto conosciuto in campo internazionale, è stato uno dei più popolari scacchisti italiani degli ultimi cinquant’anni; la sua carriera scacchistica, la sua attività editoriale, i suoi libri, l’AMIS, Il Premio Nazionale Gioacchino Greco e la sua esperienza di Presidente della Federazione Scacchistica Italiana sono già stati ricordati da altri suoi estimatori.
Io sento il dovere di rendere omaggio ad Alvise cercando di spiegare quale fu il senso dominante della sua opera scacchistica che lo impegnò per tutta la vita.
Per Alvise gli scacchi furono un amore esclusivo. L’intero significato di questa sua visione va ben oltre la semplice cronaca scacchistica.
Due – per quanto credo di aver capito io in tanti anni di sincera amicizia – furono le travi portanti del suo pensiero scacchistico: la preservazione e la rivalutazione della cultura scacchistica italiana e il senso, vago ma profondissimo, dell’appartenenza.
Due pensieri apparentemente diversi fra loro, ma in realtà complementari e strettamente legati: i veri motivi conduttori della sua vita scacchistica.
Dedicò al primo, soprattutto quando creò l’AMIS, tempo, fatica, denaro, con risultati di eccezione sia sul piano puramente tecnico, sia su quello culturale, con importanti iniziative editoriali, che gli valsero autorevoli riconoscimenti in Italia e in Europa.
Questo spiccato interesse per la cultura scacchistica lo trasferì ovviamente anche nel privato, acquistando ovunque gli capitasse, libri di scacchi, soprattutto, rigorosamente italiani. La sua eccellente libreria personale, naturalmente, gli somigliava: caotica e disordinata, ma straordinariamente viva, perché le modalità della lettura, la calma che sovviene nel dominare tattilmente quelle pagine piene di storia scacchistica erano per lui un piacere insostituibile.
Proprio questo amore per i libri fu il nostro ultimo e quasi quotidiano argomento; aveva deciso di riordinare e catalogare la sua biblioteca confidando nella mia collaborazione ma un disegno che spesso ci sfugge non lo ha permesso.
Circa il secondo dei suoi pensieri dominanti, vi era in lui vivissimo il sentimento dell’appartenenza; nella sua visione tutto il movimento scacchistico italiano, nelle sue diverse espressioni, doveva essere rappresentato e i vari protagonisti dovevano sentirsi rappresentati; un concetto di coinvolgimento “raro” nel quale tutti avrebbero dovuto riconoscersi, verosimilmente destinato a rimanere – proprio perché raro – isolato. Non tanto per la profondità del pensiero, quanto per le sue particolari manifestazioni e i presupposti culturali che lo sottintendono.
Una visione superiore che, tuttavia, non richiede substrati di particolare cultura per manifestarsi; basterebbe attingere al background invisibile ed impalpabile che vi è nell’animo di ognuno di noi.
Alvise né è stato interprete unico e straordinario.
Il significato di tutto il suo viaggio scacchistico, basato su due capisaldi fondamentali, la cultura e l’appartenenza, non fu mai per Alvise la meta ma il modo di percorrere una via.
Ma Alvise possedeva talenti rari – oltre a quello scacchistico -, l’intelligenza, l’acume, l’equilibrio nei giudizi, il saper ascoltare e una grande saggezza.
Vi era in lui la nobiltà che comunemente si assegna agli scacchi. Alvise ha servito gli scacchi per tutta la vita; non se ne è mai servito per scopi che fossero diversi da quell’etica originaria.
Per natura tollerante e disposto al dialogo, era paziente, ma entro certi limiti; dopo di ché rinunciava. Pensava che non esiste una rendita della civiltà. Il rispetto degli altri è una faticosa conquista quotidiana, qualcosa che bisogna strappare ogni giorno al proprio egoismo, e talvolta anche ai propri ideali; per questo temeva il pericolo dell’intolleranza ma la tolleranza – diceva – non è una rinuncia alle proprie posizioni; è una cosa assai più semplice e infinitamente più utile. E’ la fiducia, anche inflessibile, nella duttilità della ragione propria e altrui. Che è il contrario sia dell’intolleranza, sia della confusione.
Si capiva che qualcosa gli era dispiaciuto, ma non ne parlava; manifestava una riconquistata serenità. Una serenità di chi, – penso – per lavorare per il bene degli scacchi, aveva speso tanto tempo e al Tempo aveva affidato le sue fatiche, perché sapeva che il Tempo, sempre corretto, gli avrebbe reso un giorno quanto dovuto.
E questo giorno è già purtroppo arrivato

Ken Whyld, uno dei più grandi studiosi di storia degli scacchi, se non il più grande in assoluto degli ultimi venti anni, si è spento improvvisamente la mattina del 11 luglio 2003. Una grave perdita per tutta la comunità scacchistica internazionale.
E’ risaputo che da oltre un secolo è in atto senza sosta una intensa attività – talvolta con punte di valore scientifico – finalizzata allo studio delle origini, delle mutazioni e dello sviluppo del gioco degli scacchi che ha coinvolto studiosi di diversa nazionalità, di diversa estrazione, senza limiti di confine. Una comunità internazionale entro la quale i vari ricercatori imparano subito a rispettare il proprio e soprattutto l’altrui lavoro; in tale ambiente l’etica dello studio, il rispetto per altre opinioni e la correttezza sono come incise nel DNA delle persone.
Il nostro paese vanta una eccellente tradizione in questa particolare materia. Materia, va detto, per l’Italia di grande spessore storico e culturale, come testimonia l’imponente patrimonio librario che caratterizza la nostra letteratura sul gioco, le sue regole e le sue strategie: dai preziosissimi codici manoscritti, sovente commissionati da corti principesche spesso superbamente miniati, ai libri a stampa cinquecenteschi e seicenteschi, quando, declinando la fama dei teorici spagnoli gli italiani si andavano affermando tra i più reputati giocatori del mondo e le scuole scacchistiche della penisola attiravano appassionati da tutta Europa.
Probabilmente per questi motivi, ma anche e forse soprattutto, per l’ammirazione che egli nutriva per Adriano Chicco, Ken Whyld divenne presto un amico dell’Italia e della nostra storia scacchistica. Lo univa a Chicco certamente l’aspetto caratteriale; competenza, equilibrio, stile, saggezza, semplicità appartenevano ad entrambi. Apprezzava, come Chicco, il lavoro umile e profondo senza – come soleva rammentare – “vulgar showmanship”.
In gioventù fu ripetutamente campione di scacchi della sua contea; partecipò più volte al campionato Britannico e divenne un giocatore di livello internazionale. Negli anni Cinquanta pubblicò il Chess Student’s Quarterly; dal 1955 al 1963 recensì oltre 500 libri di scacchi sul Chess Reader; compilò numerosi bollettini di Tornei e in collaborazione con J. Gilchrist scrisse una antologia delle partite di Lasker in tre volumi. In collaborazione con D. Hooper scrisse il celebre The Oxford Companion to Chess nel 1984, con successiva edizione 1987 che aggiornò eccellentemente nel 1992.
Fu, per anni, insuperato redattore della celebre rubrica Quote & Queries del British Chess Magazine.
Nel 1986 diede alle stampe il Guiness Chess the Records. Innumerevoli e di alto spessore culturale i suoi articoli dedicati alla storia degli scacchi. Quando il Chess Department della Biblioteca di Cleveland mi affidò l’incarico di studiare il ms. Il Dilettevole e Giuditioso gioco de Scacchi colà custodito, ebbi la grande sorpresa e il piacere di vedermi affiancato Ken per la versione in Inglese con l’aggiunta di un suo interessante giudizio tecnico. Nell’ambiente degli studiosi Ken Whyld divenne famoso per aver ripreso la bella idea di White di inizio Novecento di preparare dei libricini – naturalmente a soggetto scacchistico – da inviare in forma privata solo agli amici in occasione del Natale di ogni anno. Proprio ultimamente mi aveva informato che stava ultimando due lavori che, come la mia Bibliografia Italiana, egli definì “di servizio”. Il primo, il prezioso Chess Columns, una accurata elencazione di rubriche scacchistiche apparse in giornali riviste, rotocalchi di mezzo mondo, me lo consegnò personalmente con dedica, mentre il secondo scritto in collaborazione con C. Ravillous, Chess Texts printed before 1850, mi è purtroppo arrivato da altre gentile mani dopo la sua scomparsa.
Vi è spiccato, in ogni studioso, il senso della solitudine; si è soli nel silenzio di una biblioteca, si è soli nel silenzio del proprio studio, si è soli quando si scrive, ma poi subentra la serenità del conforto di poter colloquiare con i colleghi e spesso nasce l’amicizia che unisce – talvolta per sempre – chi vive la stessa avventura intellettuale. Di questo e di altro strettamente personale parlammo solo qualche mese fa a Berlino. Mi sembra incredibile. Serberò per sempre nel mio cuore il ricordo di quello che il destino ha voluto che fosse il nostro ultimo incontro.

La notizia ci ha colto alla sprovvista: Jean-Claude Cholet non è più! Sapevamo del suo male, ma ci eravamo sempre rifiutati di credere che non si sarebbe risolto. La nostra amicizia durava da una decina d’anni, durante i quali ci siamo scambiati simpatiche visite a Como e a Saint Germain-en-Lay, dove ammiravamo la sua splendida collezione. Lui e Monique erano sempre premurosi in tutto, in comune accordo, in completa armonia. Jean-Claude era un uomo d’altri tempi, sempre sorridente, sereno, pacato nell’eloquio e nella compostezza dei gesti. E’ triste pensare che, dopo aver lavorato intensamente per tanti anni e poco dopo aver ceduto il suo studio ortodontistico, non abbia potuto godersi il meritato periodo della pensione dedicandosi completamente al suo hobby preferito. Ci riempie di dolore avere perso un amico squisito come lui, e, con un caro pensiero, siamo vicini a Monique, che ne sentirà l’incolmabile mancanza. Gli amici collezionisti italiani, con grande affetto e stima, si uniscono a noi nel ricordo di Jean-Claude pensando soprattutto alle interessanti e piacevoli giornate trascorse insieme ai congressi internazionali CCI e ai nazionali italiani.

Como, maggio 2006

Monique e Jean-Claude Cholet nella loro abitazione.
Max De Angelis, i coniugi Cholet e Milly Pozzi alla cena dell’amicizia del Congresso CCI Italia di Como 2004
Thomas Thomsen, Jean-Claude Cholet, Milly Pozzi e Monique Cholet durante una gita del Congresso di Como.

OBITUARY FOR JEAN-CLAUDE CHOLET

Rodolfo and Milly Pozzi

   

The news has caught us unaware: Jean-Claude Cholet has passed away. We knew about his illness, but always we refused to believe that it should’nt resolve. We have been friends for about ten years, during which we have exchanged agreeable visits in Como and in Saint Germain-en-Laye, where we admired his splendid collection. He and Monique were always in commom agreement, in full armony. Jean-Claude was a man of other times, always smiling, serene, quiet in speaking and in composure of the gestures. It is sad to think that, after working intensively for many years, and shortly afterwards to have transferred his orthodontist office, he didnot have the possibility to enjoy a period of retirement, to completely dedicate himself to his preferred hobby. To have lost a friend as exquisite as he was, fill us up with sorrow, and, with a kindly thought, we are very near to Monique, who will feel his lack that cannot be filled. The Italian collectors friends remember Jean-Claude with affection and estimation, above all in the interesting and pleasant days spended together in the International CCI congresses and in the Italian national ones.

Il 10 giugno 2012 è scomparsa Kathy Vaglio, minata da un male incurabile.
Era appassionata di scacchi insieme al marito Kenny, entrambi soci CCI.
Noi l’avevamo conosciuta al Congresso internazionale di Filadelfia 2002, al termine del quale i Vaglio hanno ospitato i partecipanti nella loro bella villa di Long Island (eccoli nella foto 1, sorridenti davanti ai loro “tesori”). Kathy era stata una splendida padrona di casa, e aveva amorevolmente preparato un perfetto dinner servito tra fiori multicolori.
Ce la ricordiamo particolarmente felice al Congresso italiano di Santa Margherita Ligure-Portofino 2003, quando, alla fine di una gita a Portovenere (foto 2),  aveva percorso con Kenny la “via dell’amore” delle Cinque Terre. Era stata inoltre disponibile e partecipe al Congresso italiano di Roma 2005, durante il quale aveva letto al pubblico il testo inglese di una nostra relazione (foto 3).
Kenny Vaglio, la cui famiglia era di origine siciliana, ci aveva invitato ad organizzare un meeting nella magnifica isola mediterranea: il congresso si è svolto a Catania, seguito da un giro della Sicilia, ma proprio loro non avevano potuto parteciparvi per l’avanzato stato di malattia di Kathy.
Non l’abbiamo più rivista, ma l’avremo sempre nella memoria con grande affetto, e mancherà a tutti gli amici del piccolo-grande mondo dei collezionisti di scacchi.
A Kenny le nostre più sentite condoglianze.

Nella sua Bamberg, il 18 Maggio 2013 Lothar Schmid ci ha lasciati dopo una lunga malattia. Lothar divenne presto Grande Maestro, ma la sua internazionale popolarità l’acquistò quando fu chiamato a dirigere il celebre match per il titolo mondiale fra Boris Spasskij e Robert James Fischer svoltosi in Islanda nel 1972.
Ma Lothar Schmid, fin dalla giovane età, coltivò la passione di possedere libri di scacchi.
Questo amore lo portarono a costruire la più grande raccolta privati di libri scacchistici, molti dei quali preziosissimi.
Il Maestro tedesco è stato nella sua vita un gentleman d’altri tempi. Vi era in lui la nobiltà che comunemente si assegna agli scacchi che lui ha servito per tutta la vita; non se ne è mai servito per scopi che fossero diversi da quell’etica originaria.
Da tempo ero in corrispondenza con lui, l’argomento ovviamente i libri di scacchi.
Come molti studiosi di scacchi anche Lothar sapeva che l’Italia custudisce il più grande patrimonio scacchistico del mondo, che grazie alle ricerche del professor Fantacci di Roma divenne noto solo nella seconda parte del 1800. Manoscritti di straordinaria bellezza e di grande valore culturale.
Subito celebri studiosi europei e americani vennero nel nostro Paese per studiare questi rarissimi codici.
Naturalmente anche Lothar Schmid fu interessato a vedere quei tesori scacchistici; e proprio questa cirscostanza ci portò ad incontrarci di persona. Una giovane studiosa tedesca (Marion Faber) desiderava consultare alcuni di questi documenti e per venire nel nostro Paese chiese aiuto a Schmid, il quale domandò un incontro a Palladino, allora Presidente della F.S.I., che particolarmente sensibile al valore della cultura scachistica italiana organizzò l’incontro. Quell’incontro di Milano, ovviamentte, non fu l’unico. Ci incontammo molte volte a Londra, Monaco di Baviera, Parigi, Vienna, Kornick in Polonia etc. L’ultima volta fu a Valencia; stava bene, ed era, come sempre a conoscenza delle ultime pubblicazioni scacchistiche.
Gli scacchi per noi due sono stati solo la circostanza che la vita ha voluto usare per farci incontrare; e fu rispetto reciproco, immediato, e la nascita di una amicizia che andrà oltre il tempo che ci è stato concesso.
Lo ricorderò come uomo riservato, estraneo a qualsiasi forma di inutile esibizionismo, fu soprattutto umile, la caratteristica che spesso si associa alla grandezza. Lothar Schmid appartenne ad una generazione di studiosi di storia dgli scacchi di particolare valore; molti di essi non ci sono più e ora è lui che ci ha lasciati. Si dice che questa sia la vita; la mente forse l’accetta, il cuore mai!

Ecco il sole scompare
All’estremo orizzonte:
Scendon l’ombra e il silenzio
Sulle fatiche umane.

Questa è una di quelle testimonianze che non si vorrebbero mai scrivere: ho visto per l’ultima volta il mio vecchio amico scacchista Marco Crucioli alla riunione problemistica di Roma sabato 24 gennaio 2015; eravamo insieme ad altri problemisti venuti anche da Perugia e Milano. Era vistosamente affaticato nella respirazione ma, ciò nonostante, non ha voluto rinunciare a quel piacere condiviso; purtroppo, proprio a causa di quel grave affaticamento è entrato in ospedale e, nonostante un’operazione chirurgica, non ce l’ha più fatta a riprendersi, allontanandosi per sempre dalla vita terrena dei suoi cari famigliari e da quella di tutti noi scacchisti italiani, in primis quelli del mondo del problema e del collezionismo.
Laureato in biologia, ha svolto per lunghi anni il ruolo di Direttore di un prestigioso laboratorio romano di analisi cliniche. Chi lo ha frequentato sa bene che poteva sembrare un ben educato “signore dell’Ottocento” e, comunque, una persona di cultura: discreto quanto basta, sempre pronto alla conversazione brillante, era considerato tra le ultime memorie storiche dello scacchismo romano.
Giocatore di Seconda categoria nazionale. Socio sostenitore dell’Accademia Scacchistica Romana non faceva mancare la sua presenza al Torneo sociale; ricoprì vari incarichi ed è stato anche l’ideatore e l’organizzatore di gare estemporanee di soluzione e dei mercatini scacchistici nei periodi natalizi ai quali partecipava la nostra sezione della Chess Collectors International; cosa probabilmente poco nota è che, verso la metà degli anni ’90 del secolo scorso, in un elenco provvisorio di collezionisti italiani, risultava già tra quelli con centinaia di libri e riviste. Chi lo frequentò e gli trasferì la passione per il collezionismo dei pezzi sa bene che era interessato anche ad altre curiosità scacchistiche oltre, ovviamente, i set Régence e Staunton, quasi sempre in legno e di buone dimensioni. Partecipò sempre con grande interesse ad eventi importanti, quali:

  • la Conferenza di presentazione del libro “I fondamenti degli scacchi” di Capablanca ed il Seminario “Scacchi, scienza e arte del combattimento” presso la Sala Mostre della Biblioteca Alessandrina in Roma (10 febbraio 2000);
  • il IX Congresso mondiale della Chess Collectors International di Firenze (giugno 2000) e alla mostra L’Arte degli scacchi, curata da Alessandro Sanvito;
  • il 1° Congresso CCI-Italia di Roma nel 2001;
  • il 5° Congresso CCI-Italia di Roma nel 2005.

Il campo scacchistico nel quale si è distinto maggiormente, sotto molteplici aspetti, è certamente la problemistica. Non è affatto un caso se già nel 1992, nella NUOVA ANTOLOGIA DEI PROBLEMISTI ITALIANI di Oscar Bonivento (Edizioni Scacco), gli furono riservate quattro pagine e la pubblicazione di dodici sue composizioni; le sue preferenze andavano alle fantasie che seguiva con interesse e per le quali auspicava un costante sviluppo anche in Italia. Sostenne economicamente numerose riviste sul problema di scacchi; per ogni pubblicazione di suo grande interesse era solito acquistarne più copie da poterle omaggiare con eleganza. Tutti i problemisti italiani sono a conoscenza che è merito suo se nacquero l’Accademia Romana Problema Artistico (lui stesso ideò l’acronimo A.R.P.A.) ed il suo Bollettino pubblicato dal 1993 al 1999. Oltre ad essere stato un buon compositore è stato anche un abile solutore: ottenne la categoria di Maestro Solutore nel 2004 e partecipò con merito alle gare di soluzione del 54° Congresso Mondiale della Composizione Scacchistica (Jesi, 20-27 agosto 2011), dove conobbe molti affermati compositori e solutori stranieri.
Voglio ricordarlo per sempre con in mano un cartoncino dove appuntava le tante cose delle quali voleva parlare nei nostri martedì pomeriggio durante i quali spesso mostrava i suoi ultimi acquisti scacchistici e qualche sua idea compositiva. Per ricordarlo al meglio non basteranno queste commosse righe: “Ciao Marco, che tu possa RIP tra miliardi e miliardi di pezzi di scacchi”.

Roberto Cassano

La scorsa settimana si è spento dopo lunga malattia Garrick Coleman, un uomo che tutti i collezionisti di scacchi conoscono o ne hanno sentito parlare.
Alcuni hanno avuto la fortuna ed il piacere di conoscerlo personalmente come nel mio caso, quando nel dicembre ’95 ero a Londra (patria del collezionismo) e un po’ casualmente sono entrato nel suo stand- museo al 75 di Portobello Road. E’ lì che è esplosa la mia passione per gli scacchi alla vista di quei pezzi rarissimi, di squisita qualità, dei quali ignoravo l’esistenza o forse ne avevo osservato qualcosa nei libri.
Egli te ne illustrava la provenienza e l’epoca, ne esaltava la qualità di intaglio ed i materiali. Ne restavi incantato e un po’stordito. Poi ti chiedeva anche un’opinione, lui, commerciante sì, (era il suo lavoro), ma grandissimo conoscitore ed uomo di fiducia di collezionisti che acquistava per te, se lo desideravi, alle aste inglesi.
Mi mise subito in contatto con Thomas Thomsen , per lunghi anni presidente CCI. Divenni socio. Poi la passione ed il destino mi ha portato anche a CCI Italia.
Garrick è stato quasi sempre presente ai Congressi Internazionali con i suoi giochi, ma qualche volta ha anche arricchito con i suoi pezzi i nostri spazi a Marostica (2° convegno CCI Italia) nonostante il tumore osseo lo avesse già colpito.
Con Garrick Coleman scompare un profondo conoscitore di scacchi e del commercio dei pezzi, una icona internazionale, l’ultimo riferimento per la ricerca di pezzi e l’esposizione permanente di set introvabili, oltre ad un cordiale signore dal quale sapevi che ciò che acquistavi, era sempre autentico.

Massimiliano De Angelis

Il nostro pensiero si rivolge spesso a Billy, forte giocatore e insegnante di scacchi, instancabile viaggiatore sempre unito alla sua Hope: entrambi sono stati tra i fondatori della Chess Collectors International, nel 1984 in Florida.Abbiamo innumerevoli foto dell’affiatata coppia, che ogni anno a Natale ci inviava un’immagine scattata in luoghi interessanti difficilmente raggiungibili, che non erano mai mete banali. Due volte Milly ed io siamo stati invitati a casa Levene. Nel 2000, quando le nostre figlie risiedevano in America, Billy è venuto a prenderci a New York per farci vedere le università nelle quali aveva studiato; in seguito abbiamo potuto ammirare a Bedford la sua splendida collezione di scacchi e i preziosi libri antichi, nonché i put together sets, gli scacchi “messi insieme” da Hope. Vi siamo tornati con Massimiliano De Angelis nel 2002, dopo il Congresso di Filadelfia. Billy e Hope sono venuti da noi a Como nel 2004, prima di raggiungere Madrid in auto, e ci siamo simpaticamente rivisti in occasione di altri meetings. A Washington vent’anni fa, Billy ha iniziato a leggere in inglese le nostre relazioni, e nel ’98 a Vienna mi ha stretto a sé dicendo che formavamo una grande squadra! Ora, all’età di 97 anni, è scomparso lasciando in tutti un’immensa tristezza: riconosciamo il saldo legame che lo univa alla nostra associazione, ricorderemo sempre il suo sorriso intelligente e bonario e siamo vicini a Hope con grande affetto.  
Bedford 2000
Vienna 1998

IN MEMORY OF BILLY LEVENE

(1918-2015) Rodolfo and Milly Pozzi

 
 

Our thoughts often turn to Billy, strong chess player and teacher, tireless traveller always with his Hope: both were charter members of Chess Collectors International when is started in Florida in 1984. We have countless photos of the close couple, who every Christmas sent us a picture taken in interesting places difficult to reach, that were never trivial destinations. Twice Milly and I were invited to Levene house. In 2000, when our daughters lived in USA, Billy picked us up in New York to let us visit the university where he had studied; later we could see in Bedford his splendid chess collection and the precious ancient books, as well as the “put together sets” created by Hope. We went back with Massimiliano De Angelis in 2002, after the Congress in Philadelphia. Billy and Hope came to visit us in Como in 2004, before reaching Madrid by car, and we also met affectionately several other times. In Washington, twenty years ago, Billy began to read in English our papers, and in ’98 in Vienna he held me close and said that we formed a great team! Now he passed away, leaving a great sadness in all of us: we recognize the strong bond that united him to our association, will always remember his intelligent and good-natured smile and we are near Hope with great affection.